martedì 2 giugno 2009

fiabe russe: Il gatto e il montone

Il gatto e il montone
Muir era un bellissimo gatto tigrato dagli occhi verdi. Morbido e carezzevole come tutti i
gatti, si sarebbe fatto amare moltissimo dai suoi vecchi padroni se non avesse avuto un
brutto difetto: era golosissimo, e soprattutto gli piacevano la panna e il latte. Perciò non si
accontentava della razione che la vecchia nonna gli preparava ogni mattina in una
scodella, ma cercava di intrufolarsi nella dispensa, e se riusciva a trovare la caraffa del
latte o la tazza della panna faceva subito piazza pulita. Perciò la nonna spesso non
sapeva che cosa mettere in tavola, per sé e per il nonno, all'ora di cena. E quando voleva
fare il burro trovava in dispensa la tazza della panna vuota e così ben leccata che
sembrava appena lavata.
- Ah, nonno - disse una sera al vecchio marito - io non so più come fare. Il gatto Muir
divora le nostre provviste, e inutilmente lo inseguo con il bastone. È davvero
incorreggibile. Ho nascosto la panna e il latte in cantina o nell' armadio, ma riesce a
intrufolarsi dappertutto e mangia tutto ciò che trova senza preoccuparsi di noi. Se non lo
uccidiamo, moriremo di fame.
Il nonno sospirò: egli sospirò: egli voleva bene a Muir, ma i difetti del gatto erano davvero
troppi grossi e insopportabili.
- Va bene - disse. - uccidiamolo e sia finita.
Proprio in quel momento il gatto Muir era sdraiato sotto la stufa per schiacciare un
sonnellino al calduccio. Udì le parole dei due vecchi sposi e si drizzò il pelo. Morire!
Mentre la vita era tanto bella, e lui stava bene, in quell'isba, coccolato e vezzeggiato; e
trovava la colazione pronta ogni mattino! Era vero: aveva bevuto la panna e il latte senza
preoccuparsi dei suoi vecchi padroni, era stato ingrato ed egoista: ma non voleva morire!.
Incominciò a pensare al mezzo per salvarsi. I gatti sono furbi; tutti lo dicono. Non sarebbe
stato da meno degli altri, il gatto Muir! Sgusciò di sotto la stufa e uscì dall'isba senza farsi
vedere; entrò nella stalla dove il caprone, legato a un chiodo, aveva appena finito di
cenare e stava per addormentarsi.
- Fratellino montone- gridò - i padroni sono impazziti e oggi hanno deciso di ammazzarmi.
- Benissimo - approvò il montone. - avrebbero dovuto farlo da molto tempo.
Il gatto Muir restò interdetto, ma pensò subito a un ripiego.
- Avrebbero dovuto farlo, sì - ammise - perché le mie malefatte sono molte: perciò mi
rassegno fin d'ora al mio triste destino. Ma purtroppo hanno deciso di ammazzare anche
te.
Nell' udire quelle parole il montone incominciò a tremare e a battere gli zoccoli.
- Uccidere anche me?- belò. - E perché?
- Io non lo so: ma questa è la loro decisione.
Il montone si guardò intorno con occhi disperati.
- Mi dispiace abbandonare questa stalla dove trovavo l'erba saporita pronta ogni mattino;
ma non voglio morire! Ti prego, salvami! Fammi fuggire, gatto Muir!
- Va bene- rispose il gatto. - Fuggiamo insieme, andiamo nella foresta. Là troverai tanta
erba quanta ne vorrai, e anche a me il nutrimento non mancherà, perché io sono il gatto
Muir, il più furbo fra tutti i gatti. E inoltre avremo la libertà.
Il montone scalpitava, impaziente; il gatto sciolse con la zampina la funicella legata al
chiodo, poi saltò sulla schiena del compagno. Questi socchiuse l'uscio con le corna,
quindi si diedero alla fuga verso la salvezza e la libertà.
Ma le cose andarono diversamente: a poca distanza dall'isba si stendeva un deserto di
pietre e di sabbia dove non cresceva nemmeno un filo d'erba; così il montone patì la
fame, e Muir non trovò nemmeno un topo, né una lucertola, né un grillo da mettere sotto i
denti.
Proseguirono affamati e assetati, e proprio dove cominciava la foresta trovarono una
testa di lupo. Un cacciatore fortunato l'aveva probabilmente gettata via poco prima, e il
gatto disse:
- Raccoglila, amico montone: forse ci servirà.
Si cacciarono sotto gli alberi, benché nella foresta fosse già buio, e poco dopo videro
brillare in lontananza le fiamme di un fuoco acceso.
- Avviciniamoci - propose il gatto. - Almeno potremo riscaldarci: fa un tal freddo qui!
Infatti, abituato com'era a dormire saporitamente sotto la stufa al calduccio, soffriva
moltissimo per il freddo notturno e la rugiada.
Si avvicinarono pian piano e ben presto giunsero in unna vasta radura dove videro un
fuoco che ardeva. Intorno al falò che ardeva. Intorno al falò stavano seduti
tranquillamente a godersi il calduccio tre giovani lupi grigi, tre vecchi lupi grigi, e un lupo
bianco. Non appena li scorse, il povero montone incominciò a tremare come una foglia al
vento.
- Ohimè ! Ohimè !- balbetto puntando i piedi, mentre per il terrore sentiva l'anima
scendergli fin negli zoccoli.
Il gatto cercò di rianimarlo con parole brusche e decise:
- Smettila di tremare! Nascondi quella testa di lupo dietro un cespuglio, poi seguimi e non
aver paura perché io ti proteggerò.
Il montone ubbidì: getto la testa del lupo in un folto di frasche e andò dietro il compagno
tentando di celare alla meglio il terrore. Il gatto invece non aveva perduto la sua
disinvoltura: si avvicinò tranquillamente ai lupi e chiese con garbo il permesso di sedere
con il suo compagno vicino al fuoco per asciugarsi e riposarsi, dato che avevano
camminato a lungo. I sette lupi, vedendo il gatto e soprattutto il montone, incominciarono
a leccarsi i baffi. Ecco pronta una cena prelibata! E c'era anche il fuoco acceso per
arrostirla!
- Accomodatevi, amici - disse il lupo bianco che aveva una corona sulla testa ed era il
principe dei lupi.
- Non potete immaginare quando ci rallegri la vostra presenza ! - Continuò, e i suoi occhi
avidi mandavano bagliori sinistri.
- Grazie - rispose il gatto cortesemente. E subito si sdraiò vicino al fuoco e si voltò da tutte
le parti per asciugarsi bene.
Anche il montone sedette; ma era mille volte pentito di avere abbandonato la sua stalla
sicura, dove nulla gli mancava ; né l'erba fresca, né il sale, né le carezze della vecchia
padrona. Chissà poi se era vero che la padrona lo voleva uccidere. Tuttavia morire per
morire, sarebbe stato meglio morire a casa, e non sbranato da quelle belve in fondo a
una paurosa foresta! I lupi continuavano a leccarsi i baffi, ma il gatto, per nulla turbato e
sicuro del fatto suo, sembrava non avvedersene.
- Oh, finalmente! - esclamò dopo un po'. - Sono perfettamente asciutto; ora possiamo
pensare alla cena. Amico montone, - disse stirandosi la zampine e sbadigliando - portami
la testa di uno di quei lupi che abbiamo sbramato oggi.
Lupi sbranati? Sbranati da quel minuscolo gatto? I sette lupi, meravigliatissima, rizzarono
le orecchie. Il montone si alzò e si allontanò, per ritornare poco dopo reggendo la testa
del lupo.
- E' questa, che vuoi? - chiese deponendola davanti al gatto; ma Muir finse di arrabbiarsi,
- No, non questa! Voglio l'altra, la più grossa. Questa è troppo piccola, per la fame che ho.
Il montone, che aveva ormai ben capito quali erano le intenzioni del suo amico gatto,
riprese la testa fra i denti e scomparve dietro il cespuglio fingendo di andare a prendere
un'altra preda; riapparve poco dopo reggendo ancora la medesima testa.
- Questa? - chiese - E' più grossa dell'altra.
Ma il gatto si adirò ancora di più
- Possibile che tu non capisca mai i miei ordini? Fra tutti i lupi che abbiamo ucciso oggi ve
v'era uno grossissimo. E' la sua testa che devi portarmi, e subito!
Il montone ripartì, mentre i sette lupi si gettavano l'un l'altro sguardi preoccupati, e ai più
giovani si rizzava il pelo sul collo.
- E' questa, finalmente? - E ogni volta il gatto rispondeva di no .
Ma dunque, quanti lupi aveva sbranato il terribile gatto? Moltissimi, evidentemente,
perché il montone non faceva che andare e tornare, e ogni volta portava tra i denti una
testa di lupo! Finalmente i tre lupi più giovani non poterono più sopportare quello
spettacolo; si alzarono e dissero molto rispettosamente;
- Signor gatto, il fuoco sta per morire e noi vorremo andare a raccogliere legna, altrimenti
la tua cena non riuscirà cotta a puntino. Permetti che ci allontaniamo?
- Andate pure, - rispose il gatto benevolmente - e ritornate presto.
I tre lupi si incamminarono adagio, ma non appena furono un po' lontani, spiccarono una
corsa indiavolata e in un baleno disparvero alla vista. I tre lupi più grossi rimasero,
tremando, ad assistere.
Contavano le teste dei lupi morti e si sentivano sempre più terrorizzati. Sei teste di lupo!
Sette teste! Dieci! Dodici! Quale orribile strage! Infine anch'essi non ne poterono più.
- Temiamo che i piccoli non riescano a portare la legna fin qui - disserto. - Andremo loro
incontro per aiutarli.
Si avviarono, infatti; ma non appena furono tra le ombre degli alberi, spiccarono una
corsa e scomparvero. Restava, ora soltanto il Lupo Bianco, il principe dei lupi. Tutti i suoi
lo avevano abbandonato: il poveretto batteva i denti per la paura. Aspetto l'attimo in cui il
gatto Muir voltasse la testa e balzò verso la foresta; poi incominciò a galoppare come un
forsennato, e non gli sembrava di essere mai abbastanza lontano dal tremando gatto.
Quando furono soli, il caprone e Muir risero fino alle lacrime; poi si rifecero seri.
- La libertà è bella, senza dubbio - commentò il gatto- ma anche pericolosa.
- E' piena di guai - rincarò il caprone. - Nella mia stalla si stava bene, mentre qui fa tanto
freddo e noi siamo ancora riusciti a mettere fra i denti nemmeno un boccone.
- I vecchi nonni erano buoni con noi - aggiunse il gatto - Noi siamo abituati alla compagnia
degli uomini e non a quella delle belve .
Si guardarono negli occhi, si compresero: e senza altri commenti volsero le code alla
foresta avviandosi verso casa. I due vecchietti non sapevano consolarsi per la sparizione
delle due care bestiole che costituivano la loro solo compagnia. Quando le videro arrivare,
e il gatto correva davanti al montone tanta era la sua fretta, spalancarono la porta festosi.
- Venite! Venite! C'è un bel fascio di erbe profumate nella stalla, e una scodella piena di
panna presso la stufa!
Il gatto e il montone si lasciarono abbracciare e accarezzare , poi il montone tornò alla
sua greppia e il gatto si raggomitolò accanto alla stufa. Ma non dimenticò mai più che il
latte era necessario anche ai due vecchietti, e da quel giorno si accontentò di quello della
sua colazione.

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