martedì 2 giugno 2009

fiabe giapponesi: LA STORIA DI HIME


LA STORIA DI HIME
Tanti e tanti anni fa, c'erano in Giappone due vecchietti, molto poveri ma ingegnosi, che
lavoravano insieme d'amore e d'accordo. Ogni mattino il marito si arrampicava sulla
montagna e con il suo falcette tagliava parecchi steli di bambù; poi li radunava in un
fastello, li caricava sulle spalle e tornava a casa. Aiutato dalla moglie, con quelle canne
confezionava cestelli, borse, fiaschette, e le portava a vendere al mercato della città.
Passavano la vita cos', e sarebbero anche stati felici se non avessero avuto un cruccio
grasso che, si può dire, si rinnovava ogni giorno: erano senza figli, e la casa priva di
bambini sembrava loro sempre malinconica. Non provavano nemmeno piacere nel riporre
in una cassettina di sandalo qualche moneta d'argento, quando i commerci andavano
bene, perché nessun figlio avrebbe adoperato quelle monete per pagarsi gli studi,
nessuna figlia per farsi la dote. Un mattino il vecchietto salì come al solito sulla montagna
e incominciò a tagliare gli steli di bambù. Ma quale non fu la meraviglia, quando vide che il
più grosso di tutti splendeva come fosse fatto di diamanti. Lo tagliò lo stesso, e dallo stelo
cavo scivolò fuori una creatura minuscola, una bambina di straordinaria bellezza, ma tanto
piccola che poteva sdraiarsi comodamente sul palmo di una mano. Aveva i capelli
nerissimi, gli occhietti brillanti come perle nere, le guance rosa come i petali della ninfèa;
indossava un chimono di seta bianca dipinto a fiori e cicogne, e sapeva già sorridere. Si
raggomitolò nel cavo della mano del vecchietto e subito si addormentò. Il vecchio non
stava più in sé dalla gioia: saltava, ballava, rideva, piangeva; e ogni tanto gridava:
- Gli dei ci hanno finalmente ascoltato! Abbiamo una figlia!
Avvolse delicatamente la creaturina nella sua vecchia sciarpa e la collocò nel cappellone
di paglia. Poi ritornò a casa camminando con precauzione e dimenticando sulla montagna
tutte le canne di bambù. Anche la moglie fu felice fino alle lacrime vedendo la bellissima
bambina. Prese subito il cestino più grazioso, lo imbottì di ovatta di seta e preparò una
culla degna di una principessa. La bimba vi fu messa a riposare, e per tutta la notte i due
vecchietti rimasero a contemplarla tenendosi per mano, commossi ed estasiati.
- Chi sa da dove viene - diceva il vecchietto. - Forse è una principessa nata in un regno
lontano.
- Forse è uno spirito e viene dalla luna - diceva la vecchietta. - comunque, adesso è figlia
nostra; la chiameremo Hime.
- E' un bel nome - ammise il vecchietto. - Hime sposerà certo un figlio di re.
E rimasero a far progetti fino al mattino. Al mattino Hime si risvegliò e mangiò con buon
appetito il latte che la mamma le aveva preparato. Poi scese dalla culla e incominciò a
giocare. Era buona, ubbidiente, e cresceva in fretta, tanto in fretta che in capo a tre mesi
era già diventata una bellissima fanciulla. Aveva gli occhi brillanti come perle nere, i capelli
neri come l'ebano e lunghi fino alle ginocchia, le guance del colore dei petali della ninfèa.
Il suo chimono cresceva con lei, sempre bianco come la neve, dipinto a fiori e cicogne.
Hime non ne aveva mai voluto un altro, sebbene il padre adottivo, che nel frattempo era
diventato molto ricco, volesse comprargliene dei nuovi. Il buon uomo infatti saliva sul
monte ogni mattino a raccogliere canne di bambù; e ogni mattino, dal giorno in cui aveva
trovato Hime, scorgeva una canna che brillava in mezzo alle altre. La tagliava, e dallo
stelo vuoto scendeva una pioggia di monete d'oro. Ora gli dava gran gioia raccogliere le
monete nel cofanetto di sandalo: sarebbero servite per la dote di Hime, sebbene ella
fosse tanto bella che poteva sposarsi anche senza dote. Infatti i giovani del villaggio
passavano sospirando sotto le sue finestre, e di notte le cantavano la serenata. Molti
avevano chiesto al vecchietto la mano di Hime, e il vecchio li aveva respinti tutti con garbo
pensando: " Hime sposerà un figlio di re ". Avrebbe preferito che Hime non sposasse
proprio nessuno, ma si diceva saggiamente: " Noi un giorno lasceremo questo mondo e
non è bene che Hime rimanga sola. La cosa importante è che trovi uno sposo degno di lei
". Di sposi degni di lei, se ne presentarono un giorno ben cinque. Erano cinque principi e
si chiamavano Kuramoci, Miuki, Maro, Daigin e Miko. Tutti e cinque avevano udito parlare
della straordinaria bellezza di Hime e perciò si erano affrettati a chiederla in moglie.
- Eccellentissimi principi - rispose il vecchietto confuso e felice - mia figlia sposerà, se
vuole sposarsi, uno solo fra voi. Spetta a lei decidere quale. Accomodatevi intanto nella
mia umile casa e io interrogherò Hime.
Detto questo, il vecchietto si ritirò e raggiunse Hime che ricamava vicino a sua madre. Ma
appena udì la proposta, la giovinetta scoppiò in lacrime.
- Padre. - singhiozzò - io non desidero sposare nessuno. Voglio rimanere con te e con mia
madre. Ti prego: manda via quei principi.
- Figlia mia - rispose il buon vecchio commosso - anch'io darei felice di tenerti sempre qui
con noi. Ma penso che sia giusto, invece, che tutti sposi. Un giorno io e tua madre ti
lasceremo sola, e saremmo più contenti se ti sapessimo amata e protetta da un
galantuomo. Inoltre si tratta di cinque principi ricchi e potentissimi, e il tuo rifiuto potrebbe
offenderli e scatenare le loro collere. Allora forse la loro ira si riverserebbe non soltanto su
di noi, ma su tutto il paese.
- Lasciami pensare - rispose Hime. - Ebbene, ho deciso. Proporrò loro cinque prove
difficilissime, e sposerò quello di loro che le supererà. Ma farò in modo che nessuno
possa riuscirvi.
E infatti, assieme al padre, escogitò cinque prove assolutamente insuperabili; quindi il
vecchietto ritornò nella sala.
- Mia figlia sarà felice e onorata di scegliere come sposo uno di voi, potenti signori, - disse
inchinandosi - ma poiché avete tutti delle virtù ed ella non saprebbe chi di voi scegliere, si
permette di proporvi cinque prove, una per ciascuna. Prenderà per marito quello di voi che
riuscirà a portare a compimento la sua. Tu, grande Kuramoci, dovrai scendere nel
profondo mare d'Oriente dove vive il mostro marino, e raccogliere un ramo dell'albero del
tesoro che cresce vicino alla caverna. Tu, eccelso Miuki, toglierai al drago del mare le
cinque gemme che porta al collo e le offrirai a mia figlia come dono di fidanzamento; tu,
magnifico Maro, mi porterai una conchiglia di rondine; tu, altissimo Daigin, tornerai qua
con una penna strappata alle ali del vento; infine tu, mobilissimo Miko, prenderai un raggio
di sole per foggiare l'anello nuziale da mettere al dito di Hime. E ora potenti signori, vi
auguro buon viaggio e felice ritorno. Chi giungerà per primo con l'oggetto desiderato, sarà
lo sposo di Hime.
Detto questo, il vecchietto si inginocchiò profondamente e uscì a ritroso in segno di
rispetto. I cinque principi rimasero a guardarsi in faccia. Le prove erano davvero
difficilissime. Così, almeno, pensarono subito i due principi Daigin e Miko. Strappare una
penna alle ali del vento! Fare un anello con un raggio di sole! Sembrava un'impresa
impossibile!
- Noi ritiriamo la nostra candidatura - dissero all'unisco; e salutati i presenti, ritornarono nei
loro paesi.
Gli altri, invece, si accinsero a tentare. Il principe Kuramoci s'imbarcò su una nave e
ritornò al suo regno. Il pensiero di tuffarsi nella acque del mare d'Oriente lo faceva
rabbrividire. " Bisogna che io mi procuri un ramo dell'albero del tesoro senza andare a
tagliarlo proprio laggiù " pensò. E arrivato a casa, mandò a chiamare gli orafi più valenti
del suo regno e fece preparare un'imitazione perfetta del ramo. Gli orafi lavorarono per tre
anni, e infine presentarono a Kuramoci un ramo meraviglioso. Il principe soddisfatto, risalì
allora sulla nave e spiegò le vele verso la terra di Hime. Appena sbarcato, mandò avanti
alcuni valletti che portavano il ramo sopra un cuscino di velluto. Kuramoci giunse poco
dopo e incominciò a raccontare a Hime le mille difficoltà che aveva dovuto superare per
impadronirsi di quel preziosissimo ramo. Ma mentre si diffondeva nei particolari,
arrivarono gli orafi che lo avevano seguito fin là e gli chiesero il pagamento della fattura.
Kuramoci arrossì fino ai capelli e si ritirò pieno di vergogna, mentre Hime scoppiava in
un'allegra risata. Anche il principe Miuki preferì distribuire denaro ai suoi servi affinché
andassero al suo posto a uccidere il drago. I servi promisero, ma quando ebbero le tasche
piene di monete, se ne tornarono tranquillamente ai loro paesi. E così un bel giorno Miuki
si accorse che la sua casa era deserta, perché tutti i domestici se ne erano andati, e
concluse che toccava proprio a lui affrontare il terribile drago del mare. Si imbarcò su una
nave e salpò. Ma improvvisamente si scatenò una burrasca." Certo è il drago che si
vendica" pensò Miuki. "Sapeva che volevo portargli via le gemme e ha scatenato questa
tempesta per liberarsi di me!". La burrasca durò tre giorni, durante i quali il principe Miuki
non fece che piangere e chiedere perdono al drago. Non appena il mare ritornò calmo,
Miuki prese precipitosamente la via di casa e a Hime non pensò più. Il principe Maro era
ricchissimo, e aveva molti boschi, molti palazzi e moltissimi servi. Radunò questi ultimi
intorno a sé, e ordinò che visitassero tutti i nidi delle rondini appesi ai cornicioni o
sistemati sui rami degli alberi, per vedere se c'era la conchiglia. Ma i servi ritornavano uno
dopo l'altro dicendo:
- Altissimo principe, la conchiglia di rondine non esiste.
Il principe s'infuriava, chiamava altri vassalli e altri servi, e li mandava in giro, ma sempre
inutilmente. Un giorno, mentre adirato passeggiava nel bosco, alzo gli occhi a un ramo e
vide qualche cosa che biancheggiava dentro un nido.
- Buoni a nulla! - gridò. - E bastata una mia sola occhiata e ho già trovato quello che
cercavo. Preparatemi un cesto e una fune.
I servi ubbidirono prontamente, e il principe Maro lanciò la fune a cavallo di un ramo. Poi
entrò nel cesto.
- Avanti, fannulloni, forza, tiratemi su! - comando con voce concitata.
I servi fecero scorrere la fune, e il cesto si sollevò a poco a poco; Maro riuscì ad
agguantare la cosa che biancheggiava nel nido.
- Fatemi scendere, presto! - gridò; e i servi, per far più presto, lasciarono andare la fune.
Maro piombò a terra di colpo, e la cosa che stringeva nel pugno si frantumò. La guardò
con ansia e vide che si trattava soltanto di un uovo! Era tanto buffo, così tutto ammaccato
e sporco del giallo d'uovo, che anche i servi, fra gli alberi, ridevano a crepapelle. Il principe
Maro si rialzò tutto vergognoso, rientrò nel suo palazzo, vi si chiuse, e non si fece mai più
vedere.
La fanciulla, intanto, viveva in pace con i suoi genitori, che erano felici di non veder più
ricomparire i pretendenti. Perfino l'imperatore si era innamorato di lei, della sua dolcezza e
della sua bellezza, ma Hime aveva rifiutato anche di diventare imperatrice, e il sovrano
aveva rispettato la sua volontà.
- Promettimi almeno - le aveva detto - che ti rivolgerai a me, quando avrai bisogno o ti
sentirai in pericolo.
E Hime aveva promesso, ma sembrava che non avesse bisogno di nulla e che nessun
pericolo la minacciasse, perché cantava tutto il giorno come un usignolo accanto ai suoi
vecchi genitori. Era già la quarta primavera ormai che Hime trascorreva nella casa dei due
vecchietti, e già erano caduti i fiori di ciliegio e le ciliegie stavano per maturare.
Improvvisamente Hime divenne malinconica. Sedeva spesso nel giardino, verso sera, e
guardava la luna sorgere pian piano dietro la montagna, specchiarsi nel laghetto,
scherzare tra i rami del salice piangente. Allora due lacrime le scendevano dagli occhi e
scivolavano lungo le guance color dei fiori di ninfèa. I suoi genitori la interrogavano
preoccupati:
- Figliola cara, che cosa ti rattrista? Dillo, e noi cercheremo di consolarti.
- Voi non potete consolarmi - rispose finalmente Hime una sera. - Piango perché sto per
lasciarvi. Io sono nata nella luna, e sono la regina delle Ninfe che vivono lassù. Esse mi
aspettano: il tempo che mi fu concesso per vivere sulla terra sta per scadere. Al plenilunio
di agosto dovrò abbandonarvi.
Allora anche i due vecchietti piansero, e il padre andò a chiedere soccorso all'imperatore:
- La nostra Hime vuole abbandonarci. Deve ritornare sulla luna. Come si fa per
impedirglielo?
- Manderò i miei migliori arcieri - promise l'Imperatore.
E la notte del plenilunio d'agosto schiere di valorosi soldati circondarono la casa. Hime fu
chiusa in camera sua, a doppia mandata e tutti attesero trepidanti il sorgere della luna
piena. Finalmente la luna spuntò dalla cima delle montagne, si specchiò nel laghetto,
scherzo tra i rami del salice piangente; uno dei suoi raggi giunse fino alla porta di casa e
su quel raggio correva una piccola carrozza di argento, tirata da cavalli color dell'argento.
Le belle ninfe lunari bussarono alla porta, e questa si aperse da sola. Hime uscì.
- Dolce regina, sali, te ne preghiamo: è tuo dovere - dissero le ninfe inchinandosi.
Hime mise il piede sul predellino, ma i due vecchietti disperati cercarono di trattenerla.
- Hime, non te ne andare! Oppure conduci sulla luna anche noi.
- Verrete un giorno - rispose Hime piangendo. - Ma non ora. Verro a prendervi io stessa.
Per ora vi lascio il mio chimono. Guardatelo saprete che il mio spirito è con voi.
Hime salì e la carrozza si mosse, galoppando sul raggio di luce, verso la luna. Un attimo
dopo era scomparsa, era diventata luce.
- Ormai siamo rimasti soli. Però, quando siamo stati felici! - dissero i due vecchietti
prendendosi per mano e guardando il chimono di Hime dipinto a fiori e cicogne.
E credettero di sentire un tenero bacio che si posava lieve sui loro occhi.

Nessun commento:

Posta un commento